Calamari, totani e … acque potenzialmente inquinate. Cosa mangiamo davvero? La scoperta degli scienziati

Stanno facendo scalpore anche in Italia gli articoli – talvolta pubblicati con titoli sensazionalistici e potenzialmente allarmistici – che parlano di inquinanti potenzialmente pericolosi per la salute nei calamari. La verità, come sempre sta nel mezzo:

Ad approfondire sul delicato quanto importante argomento sono stati anche i ricercatori dell’Università della California di Santa Cruz, che hanno coordinato un team internazionale cui hanno aderito anche la Global Fishing Watch – una Ong specializzata nel controllo delle attività globali di pesca – l’Australian National Centre for Ocean Resources and Security dell’Università di Wollongong e la Japan Fisheries Research and Education Agency. Incrociando i dati di molteplici pescherecci in un periodo compreso tra il 2017 e il 2020 in quattro aree,  si è scoperto che l’attività di pesca è effettuata anche in acque non regolamentate e potenzialmente inquinate poiché prive di controllo preventivo. In particolare, si parla delle seguenti zone del mondo:

Sud-Ovest dell’Oceano Atlantico al largo delle coste del Sudamerica meridionale, il Nord-Ovest dell’Oceano Indiano tra l’India e il Corno d’Africa, il Nord-Ovest dell’Oceano Pacifico intorno alle coste giapponesi e russe, e il Sud-Est dell’Oceano Pacifico, al largo di sud e Centro America. E’ in queste acque che vengono pescati molti (ma non tutti) dei molluschi che finiscono sulle nostre tavole. Gli scienziati hanno rilevato che la pesca di calamari e totani è infatti aumentata del 68% tra il 2017 e il 2020, passando così da 149mila a 250mila giorni di pesca dedicati ogni anno. Il rischio è che la notevole richiesta possa “giustificare” la pesca anche in zone non controllate. Precedentemente, studi scientifici avevano confermato la presenta di notevoli e svariate forme inquinanti individuate proprio in alcuni calamati pescati:

“Lo stato attuale dell’inquinamento marino globale da TBT (tributilstagno), TPT (trifenilstagno) e bifenili policlorurati (PCB) è stato esaminato determinando le loro concentrazioni nei fegati di calamaro. Le concentrazioni di TBT e TPT nei fegati di calamaro erano più elevate nelle acque costiere che negli oceani aperti. I valori più alti di TBT e TPT di 279 e 519 ng g −1, rispettivamente, sono stati rilevati al largo del Giappone. Le concentrazioni di TBT erano più elevate nell’emisfero settentrionale rispetto a quelle degli organismi dell’emisfero meridionale. Il TPT non è stato rilevato nei fegati di calamaro raccolti nell’emisfero australe. La variazione delle concentrazioni di TBT e TPT tra l’emisfero settentrionale e meridionale è stata maggiore di quella riconosciuta per la distribuzione dei PCB negli oceani del mondo. Questo modello di distribuzione globale di TBT, TPT e PCB sembrava riflettere il loro utilizzo” – si legge in uno studio scientifico del 2013.

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