Contattano le potenziali vittime sui social network, inizialmente con messaggi adulatori, pieni di complimenti per le foto pubblicate e i bei pensieri espressi, presentandosi come dei veri e propri “principi azzurri”. Qualcuno, uomo o donna, rimane irretito, accetta il corteggiamento online e inizia a chattare rimanendo coinvolto nella cosiddetta “truffa romantica”. Nei confronti di diciotto “principi azzurri”, indagati per i reati di truffa, ricettazione e riciclaggio, sono stati disposti altrettanti decreti di perquisizione eseguiti, su tutto il territorio nazionale, dai poliziotti dei Centri operativi per la sicurezza cibernetica. L’indagine, che ha preso il via dopo numerose querele presentate da parte delle persone truffate, ha consentito agli investigatori di fare luce su un gruppo criminale ben organizzato, che aveva due diversi livelli di operatività.
Il primo livello, radicato nei paesi dell’Africa centro occidentale, si occupava di creare falsi profili al fine di adescare le vittime. Il secondo livello, costituito da decine di persone con il compito di riciclare il denaro fraudolentemente ottenuto, aveva l’incarico di mettere a disposizione i propri conti o di reclutare persone disposte a fornire, talvolta inconsapevolmente, il proprio conto corrente per far confluire le transazioni illecite in cambio di una percentuale stabilita. Gli indagati, sparsi su tutto il territorio nazionale, sono stati in grado di raggiungere vittime in svariati paesi europei ed extraeuropei.
Una volta “catturate”, le vittime venivano convinte a prestare volontariamente somme di denaro agli amanti virtuali, per consentire loro di risolvere i più disparati problemi. In caso di rifiuto la truffa si trasformava improvvisamente in estorsione; infatti, i truffatori, per ottenere il denaro, arrivavano a minacciare le vittime di pubblicare foto e video “intimi” o millantavano conseguenze legali per dei supposti comportamenti illeciti. I proventi così ottenuti venivano smistati su diversi conti correnti e utilizzati per l’acquisto di beni di varia natura come automobili, materiale edile, condizionatori, che venivano poi spediti verso la Nigeria all’interno di alcuni container, per un volume d’affari del valore di circa due milioni di euro in due anni.
All’attività investigativa hanno preso parte anche i poliziotti del Servizio polizia postale e delle comunicazioni che, con il supporto della magistratura, hanno attivato i canali di cooperazione internazionale. Importante la collaborazione di Poste Italiane Spa e di altri istituti di credito che hanno fornito i riscontri necessari per individuare la catena di trasferimenti di denaro. Le indagini sono state svolte dal Centro operativo per la sicurezza cibernetica Umbria, mentre all’esecuzione delle perquisizioni, coordinate dal Servizio centrale di Polizia postale e delle comunicazioni, hanno collaborato i Centri operativi di Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Sicilia e Veneto, nelle province di Modena, Padova, Genova, Pesaro, Latina, Caserta, Campobasso, Palermo e il concorso del Reparto prevenzione crimine Veneto.